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Chiara Rimo

L’importanza della coscienza ambientale e la responsabilità di contribuire ad un impatto positivo anche nel nostro piccolo

Sono Chiara, Senior Consultant nel team Performance & Talent Development delle risorse umane di Deloitte e Climate Champion.
Il tema della sostenibilità mi è sempre stato molto a cuore e con il passare del tempo ho cercato di mettere in atto delle azioni che nel mio piccolo potessero contribuire a migliorare la complessa situazione in cui ci troviamo a livello mondiale a causa dei cambiamenti climatici. In Deloitte ho iniziato ad avvicinarmi a questi temi sin dall’inizio e sono stata felice e orgogliosa nel vedere che la mia azienda stesse affrontando attivamente il cambiamento climatico, tanto da creare team dedicati, sia internamente sia nel business.

Ciò con cui però mi trovo spesso a fare i conti è la difficoltà di avere a che fare con qualcosa che è più grande di me, dovuto al fatto che spesso mi sento in colpa di non fare abbastanza per rendere la mia vita più sostenibile come reazione alla crisi climatica. Al fine di non cedere all’ansia e al pessimismo, ritengo che sia fondamentale che tutti quanti sviluppino una coscienza ambientale, ossia “i fattori psicologici che determinano la propensione dei consumatori verso comportamenti eco-friendly”(1). Questo secondo me è il punto chiave da cui partire, per sensibilizzare le persone e agire in modo più sostenibile, ciascuno nel suo piccolo. Sicuramente è importante informarsi, capire quali sono le conseguenze delle nostre azioni e non restare a guardare, anche se può sembrare che ciò che facciamo non possa servire o appunto, non sia abbastanza.

A questo proposito, una delle cose su cui mi sono informata di più e a cui sto cercando di prestare maggiore attenzione negli ultimi anni è senza dubbio il greenwashing, una tecnica di marketing e comunicazione utilizzata per promuovere alcuni prodotti o attività come sostenibili, ma che di fatto presentano elementi negativi per l’ambiente dovuti ai metodi di produzione dell’azienda. Alcuni esempi possono essere la promozione da parte di brand di moda di linee più sostenibili, quando il resto delle loro collezioni sono dannose per l’ambiente, oppure creare una versione sostenibile di un loro prodotto, senza rendere il resto della linea veramente tale(2). Questo ovviamente rende ancora più complesso da parte del consumatore orientarsi e capire di chi fidarsi e come fare degli acquisti consapevoli.

Cosa possiamo fare quindi per individuare l’utilizzo di greenwashing? Il mio suggerimento è quello di ricercare dati reali e certificazioni riconosciute a livello internazionale che attestino la veridicità e la sostenibilità del prodotto.

Anche in Italia ci si sta muovendo per contrastare il greenwashing. Infatti, nel 2022 è stata emanata la prima sentenza in tribunale civile secondo cui “i green claim, gli spot sulle presunte qualità sostenibili di un prodotto o di un’azienda, non potranno più essere “vaghi, generici o esagerati”(3).

Da quando ho iniziato ad approfondire il tema, guardo con occhio molto più critico per esempio il fast fashion, ragiono molto di più sui miei acquisti quotidiani e cerco di limitarli il più possibile, prediligendo la qualità alla quantità. In questo modo, anche nel mio piccolo, contribuisco alla causa con le mie scelte quotidiane, sensibilizzando le persone a me vicine, diffondendo così questa urgenza di partecipare a migliorare qualcosa che, alla fine, riguarda tutte e tutti senza distinzioni.

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