Comunicati stampa

Deloitte: cresce la domanda di profili STEM

Più di quattro aziende su dieci non trovano candidati

Borsani, Presidente Fondazione Deloitte: «Le competenze STEM saranno cruciali nel mercato del lavoro di domani e serviranno per affrontare le grandi sfide odierne e future. Puntare su un approccio STEAM, in cui scienza e tecnologia si integrano con materie umanistiche e artistiche, sarà fondamentale»

Milano, 14 luglio 2022 – Il mondo del lavoro evolve e il fabbisogno di profili professionali STEM aumenta. Ma i laureati STEM in Europa continuano a essere una minoranza e nel nostro Paese sono solo il 24,5%, scendendo addirittura al 15% quando si considerano solo le laureate donne. Così, in Italia il 44% delle imprese ha già avuto difficoltà a trovare candidati con formazione STEM. È quanto emerge dal secondo studio dell’Osservatorio STEM “Rethink STE(A)M education – A sustainable future through scientific, tech and humanistic skills” promosso da Fondazione Deloitte e dal Programma di Politiche Pubbliche di Deloitte. «Il mondo del lavoro sta cambiando in fretta e le competenze STEM saranno cruciali per le nuove generazioni», spiega il Presidente di Fondazione Deloitte, Guido Borsani, nel presentare la ricerca. «Nonostante questo trend sia chiarissimo, è ancora limitato il numero di giovani, e soprattutto di ragazze, che sceglie un percorso di studi STEM. Lo avevamo visto nella prima edizione del nostro Osservatorio e continuiamo a vederlo a distanza di due anni in questo studio in cui abbiamo allargato il campo di osservazione ad altri Paesi europei. Bisogna invertire rotta e fare in modo che i nostri giovani si avvicinino al mondo STEM».

Domanda di competenza STEM in crescita, laureati STEM stazionari – Nonostante la crescita di domanda di professioni STEM, l’educazione terziaria tecnico-scientifica è scelta da una minoranza degli studenti europei. Solo il 26% del totale dei laureati nei Paesi esaminati (Italia, Francia, Germania, Spagna, Grecia, Malta e Regno Unito) e solo circa il 15% delle donne possiede un titolo di studio di questo tipo. Un trend rimasto quasi inalterato negli ultimi 5 anni, in cui solo la Germania spicca per una più elevata percentuale di laureati STEM: 4 laureati tedeschi su 10 sono STEM. Così, mentre i percorsi scolastici e accademici formali stentano ad evolversi e ad attrarre giovani, il 55% delle organizzazioni ha già avuto difficoltà a trovare candidati giusti per ricoprire posizioni ICT. E anche il 44% delle aziende italiane ha già avuto qualche difficoltà nel reperire professionisti con background STEM.

Il gender gap è un problema europeo – Come era già emerso nella prima Edizione dell’Osservatorio STEM, in Italia le donne sono una minoranza all’interno del mondo STEM. Ma il gender gap è un problema diffuso non solo nel nostro Paese: in tutti i Paesi considerati le donne rappresentano in media meno di un terzo del totale dei laureati STEM. Allo stesso tempo, però, in tutti i Paesi le donne ormai costituiscono dal 50% al 60% del totale dei laureati in generale. In altre parole: mentre nelle università si rileva una presenza sempre maggiore di laureate, le facoltà STEM rimangono a prevalenza maschile. La differenza tra uomini e donne, però, arriva a percentuali molto diverse a seconda delle discipline considerate. Ad esempio, nelle facoltà di scienze naturali il gender gap è sostanzialmente chiuso: qui, in media, le donne rappresentano quasi la metà (48%) sul totale dei laureati. Al contrario, se si considera il settore ICT, le donne sono ancora in netta minoranza e rappresentano, in media, il 20% dei laureati. Leggermente migliore la situazione nelle facoltà di ingegneria, dove, comunque, la presenza femminile in media non supera il 30%. A incidere sulla presenza femminile sono bias cognitivi e percettivi, stereotipi culturali, ma anche la mancanza di visibilità nello spazio pubblico.

L’effetto della pandemia sugli studenti – Negli ultimi due anni il Covid-19 ha influito sui percorsi di studio dei giovani: a causa della pandemia il 34% ha dovuto rinunciare a una esperienza di studio all’estero. Il 15% ha rinunciato agli studi in un luogo diverso dalla propria città natale. Inoltre, anche la Dad (Didattica a Distanza) ha inciso sugli studenti e sul loro apprendimento. In media, il 36% degli studenti pensa che la Dad sia utile per la scuola secondaria. Ma mentre il 52% ne riconosce l’utilità per evitare di perdere tempo nel tragitto casa-scuola e il 34% pensa che le lezioni siano più tranquille, il 59% afferma che con la Dad è più facile distrarsi, il 49% lamenta l’assenza di contatto personale con i compagni, il 48% confessa di essere stato più tentato di copiare e il 46% pensa che, in generale, le lezioni siano meno efficaci. A complicare le cose, poi, ci sono le difficoltà di accesso a infrastrutture tecnologiche e a dispositivi elettronici – una criticità che non riguarda tutti allo stesso modo e che ha amplificato le disuguaglianze sociali.

L'hai trovato interessante?