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Deloitte: accelerare il processo di decarbonizzazione nei prossimi 50 anni potrebbe portare a un guadagno di 43 trilioni di dollari per l’economia globale

Nei prossimi cinquant’anni, l’inazione contro il cambiamento climatico può portare a danni all’economia globale per 178 trilioni di dollari. Il Pil annuo nel 2070 potrebbe scendere 7,6% rispetto a uno scenario non affetto dal cambiamento climatico. Viceversa, un’azione risoluta potrebbe generare fino a 43 trilioni di dollari di benefici aggiuntivi.

Milano, 9 giugno 2022 – Il Global Turning Point Report 2022 di Deloitte, presentato in occasione del World Economic Forum di Davos – rileva che l’inazione contro il cambiamento climatico potrebbe costare all'economia globale 178 trilioni di dollari nei prossimi 50 anni. Nel 2070 la perdita media annua del PIL si assesterebbe sul -7,6%, rispetto a uno scenario non affetto dal cambiamento climatico. Al contrario, accelerando rapidamente il processo di decarbonizzazione, l'economia globale potrebbe guadagnare 43 trilioni di dollari nei prossimi cinque decenni.

“Un cambiamento negli stili di vita, di consumo e di produzione, – afferma Stefano Pareglio, Independent Senior Advisor di Deloitte – unito a un riorientamento dei flussi di capitale e a un ricorso massiccio alle nuove tecnologie, sono elementi fondamentali per mantenere l’aumento della temperatura media terrestre entro 1,5°C a fine secolo, traguardo ancora raggiungibile – pur con un temporaneo overshoot – se agiamo con forza fin da ora. Finanza e tecnologia rappresentano, infatti, leve decisive per sostenere un cambiamento duraturo e diffuso, che rappresenterebbe anche una straordinaria occasione di crescita economica e di sviluppo per nuove industrie e aree del pianeta.”

Siamo tutti chiamati ad agire, a tutti i livelli: governi, istituzioni, imprese, società civile e singoli cittadini. – commenta Franco Amelio, Deloitte Sustainability Leader – Il Global Turning Point Report 2022 di Deloitte sottolinea come l’inazione nei confronti del cambiamento climatico possa portare a perdite economiche oggi ancora evitabili e come invece, al contrario, un rapido processo di decarbonizzazione porterebbe a un guadagno globale di circa 43 trilioni di dollari nei prossimi 50 anni. Guardando in particolare al mondo delle imprese, quelli che all’inizio possono apparire come costi, per esempio in nuove tecnologie, si tradurranno infatti in benefici economici nel medio periodo, con impatti positivi che andranno ben oltre il perimetro dell’organizzazione stessa.

Secondo il Report, sono quattro gli elementi chiave su cui agire per favorire la decarbonizzazione a livello globale:

  1. La collaborazione tra settore pubblico e privato, per la costruzione di politiche efficaci volte a guidare il cambiamento.
  2. Investimenti da parte delle imprese e dei governi, per promuovere cambiamenti strutturali nell’economia globale tali da privilegiare le industrie a basse emissioni e accelerare la transizione verde.
  3. L’impegno, in ogni area geografica, a gestire i rispettivi “turning points”, ossia il momento in cui i benefici della transizione verso la neutralità carbonica superano i corrispondenti costi, guidando così una crescita regionale positiva.
  4. Sulla base del relativo turning point, i sistemi economici e sociali locali devono promuovere un futuro più sostenibile, ovvero un’economia decarbonizzata in grado di crescere a tassi maggiori rispetto a una equivalente economia carbon-intensive.

I messaggi chiave del Global Turning Point Report di Deloitte sono allineati con le evidenze del VI Assessment Report – WG II dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che sottolinea come un ritardo nell’azione di mitigazione delle emissioni climalteranti metta a rischio il futuro dell’uomo e del pianeta. Il costante aumento della temperatura media terrestre e il livello attuale e prospettico delle emissioni antropiche impongono così urgenti azioni di adattamento, le quali però, superata la soglia di 2°C, oltre a divenire assai più costose, perderebbero anche drasticamente efficacia.

Il Mediterraneo poi è considerato un vero e proprio “hotspot” del cambiamento climatico: si è riscaldato e continuerà a riscaldarsi più della media mondiale. Già oggi la temperatura media è di +1,5°C rispetto al livello preindustriale, contro una media globale di +1.1°C. Guardando all’Italia, con uno scenario di riscaldamento globale di circa 3°C si verrebbero a verificare enormi danni in termini economici, ambientali e per la salute umana. Nei prossimi 50 anni – secondo il Report di Deloitte “Italy’s Turning Point- Accelerating New Growth On The Path To Net Zero”, pubblicato al termine del 2021– tale scenario potrebbe costare circa 115 miliardi al 2070, l’equivalente di una caduta del 3,2% del PIL al 2070. La risorsa “acqua” è, e sarà, la più critica nell’area mediterranea, come purtroppo testimonia la siccità che ha caratterizzato i primi mesi del 2022 nel nostro Paese.

Il rapporto IPCC evidenzia inoltre i molteplici fattori che rendono il bacino del Mediterraneo particolarmente vulnerabile, tra cui: una popolazione urbana numerosa e in crescita, spesso concentrata in insediamenti esposti all'innalzamento del livello del mare; una grave e crescente carenza idrica associata a una maggiore richiesta di acqua per l'irrigazione; l’elevata dipendenza economica dal turismo, in pericolo anche per le politiche internazionali di riduzione delle emissioni sui viaggi.

Sempre l’IPCC – VI AR, WG III – ha tuttavia rilevato che il tasso di incremento delle emissioni di gas serra di origine antropica nel periodo 2010-2019, principale causa delle modificazioni del clima, è in diminuzione rispetto al precedente decennio. Vi è dunque la speranza che si possa mantenere l’incremento della temperatura media terrestre entro 1,5°C al 2100, ma è necessaria una precisa e stringente tabella di marcia: picco delle emissioni entro il 2025, taglio delle emissioni del 43% entro il 2030, emissioni net-zero di CO₂ entro il 2050, taglio degli altri gas serra, a partire dal metano (di almeno un terzo).

Per farlo, bisogna agire su diversi fronti entro il 2030. In primo luogo, sul settore energetico, per giungere a una sostanziale riduzione dell'uso di combustibili fossili, grazie allo sviluppo delle rinnovabili, oltre che di combustibili alternativi (come l'idrogeno verde e i biocarburanti sostenibili), nonché alla diffusione di soluzioni per la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS) e per la sua rimozione (CDR), a una più diffusa elettrificazione, e ovviamente a un sostanziale incremento del risparmio e dell’efficienza energetica. A tutto ciò si accompagna il fronte decisivo dell’innovazione tecnologica, in ragione della significativa riduzione dei costi delle tecnologie low carbon, e del cambio di stili di vita grazie a una combinazione di politiche efficaci, migliori infrastrutture, specie nelle aree urbane, e appunto nuove tecnologie. Altri ambiti fondamentali sono il settore industriale, chiamato a efficientare l’uso dei materiali, il riutilizzo e/o riciclo dei prodotti, anche attraverso nuovi processi di produzione, e il settore dei trasporti, grazie a veicoli elettrici e all’utilizzo dell’idrogeno nel trasporto marittimo e aereo. Si deve altresì agire sull’agricoltura, sulle foreste e sull’uso del suolo, settore oggi a emissioni positive ma che può dare un significativo contributo nella riduzione di emissioni di gas serra e, più ancora, nella rimozione della CO₂.

I flussi finanziari a favore della decarbonizzazione e delle nuove tecnologie sono in aumento, ma è richiesto un impegno ancor più significativo e diffuso per invertire la rotta del cambiamento climatico. Entra qui in gioco la capacità dei policy maker di rendersi attivatori di una trasformazione epocale della nostra società, a favore di una transizione fondamentale per il futuro del nostro pianeta.

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