Posted: 06 May 2020 4 minuti Tempo di lettura

Covid-19 e lavoro

L’impatto del Coronavirus sulla workforce

In questo 2020 la vita lavorativa di milioni di persone è cambiata.

L’emergenza sanitaria scatenata dal Coronavirus ha costretto molte aziende a riorganizzare radicalmente le proprie attività: nel solo settore privato oggi sono circa 2 milioni i lavoratori che hanno cominciato a lavorare in “remote working”. Una accelerazione senza precedenti in un panorama che, prima della pandemia, era ancora arretrato.

In Italia, infatti, più di 8,2 milioni di persone svolgono mansioni che potrebbero essere eseguite da remoto[1]. Ma prima dell’emergenza Covid-19 solamente il 58% delle grandi imprese, il 12% delle medio-piccole e il 16% delle pubbliche amministrazioni avevano attivato policy e procedure di smart working. In altre parole: molto meno della metà delle aziende e delle PA avevano iniziato a sfruttare la tecnologia per rendere il lavoro più “smart”.

A oggi, i settori in cui il passaggio da lavoro in presenza a lavoro da remoto si è diffuso maggiormente sono quelli dei servizi di informazione e comunicazione (83,7%), le attività finanziarie e assicurative (61,3%) e le attività professionali, scientifiche e tecniche (57,9%); si tratta di ambiti in cui sostituire il lavoro in ufficio con quello da casa è più facile.

E se è probabile che dopo il Covid-19 molte aziende e settori della PA faranno tesoro del forzato periodo di prova imposto dal virus, altrettanto vero è che, dopo mesi di reclusione, anche i più entusiastici sostenitori del lavoro da remoto si sono dovuti arrendere al fatto che l’Italia non è ancora del tutto pronta a questa sfida. Nel nostro Paese, infatti, la banda larga ultraveloce raggiunge solo il 24% della popolazione. Una carenza infrastrutturale molto diffusa che, troppo spesso, rende la comunicazione telematica faticosa.

Ma al netto alle difficoltà di comunicazione legate alla tecnologia, la percezione della maggior parte [67%] dei lavoratori è che, a lungo andare, sostituire il salotto di casa con l’ufficio tende a produrre un senso di isolamento, difficoltà di concentrazione e, in alcuni casi, un calo di produttività. Ad aggravare la situazione, certamente, è stato il lockdown totale imposto dal Coronavirus. Ma la lezione che sembra provenire da questo lungo periodo di prova potrebbe essere che piuttosto che il “remote working” tout court, l’approccio da privilegiare sia quello dello “smart working”. Lo smart working, infatti, si differenzia dal remote working perché prevede un’alternanza tra presenza in ufficio e attività da remoto, non una sostituzione totale del lavoro in ufficio con quello da casa.

Comunque sarà la nuova normalità che ci attende, questo periodo di prova forzata ci ha insegnato molto e deve essere capitalizzato per ripensare l’organizzazione del lavoro di domani. Infatti, sono molte le sfide che rimangono aperte. Come possiamo creare una cultura digitale che favorisce i nuovi modi di lavoro? Come possiamo incentivare la collaborazione, il knowledge sharing e la creazione di un ambiente che promuova il senso di vicinanza e appartenenza? E come individuare gli strumenti che garantiscono collaborazione, condivisione e comunicazione tra persone a distanza? Queste e altre grandi domande, come l’adattamento dei processi di HR a modalità digitali, definiranno il futuro del lavoro. Un futuro sempre più prossimo, che presto sarà realtà e che dobbiamo imparare a gestire al meglio.

[1] Fonte Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano

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Drew Keith

Drew Keith

Human Capital Leader

Drew è Human Capital Leader di Deloitte Central Mediterranean. Con oltre 30 anni di esperienza nel settore della consulenza in ambito Human Capital, Drew fornisce linee guida a imprenditori e consigli di amministrazione in merito allo sviluppo della leadership dei dirigenti senior, alla trasformazione della cultura organizzativa, all'efficacia del gruppo dirigente e alla pianificazione della successione.